ANTOLOGIA DEGLI STRUMENTI

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INDICE

arpa, bombarda, cornamusa, cromorno, dolzaina, flauto, ghironda, liuto, mizmaroboe, piva, ribeca, salterio, sistro, viella, zampogna,

esempi di strumenti a percussione (collegamento esterno a YouTube)

esempi di strumenti a fiato (collegamento esterno a YouTube)

esempi di strumenti a fiato (continua) (collegamento esterno a YouTube)
esempi di strumenti a corda  (collegamento esterno a YouTube)

esempi di strumenti orientali (collegamento esterno a youtube)

STRUMENTI MUSICALI IN ORDINE ALFABETICO

A

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l’ARPA

 
(collegamento a Wikipedia)
NB Tutta la descrizione sotto illustrata relativa all’Arpa, salvo diversamente specificato, è stata tratta pari pari dal sito kalosconcentus.org magistralmente  curato dal Prof. Sergio Lonoce e dai suoi collaboratori ai quali  vanno  i nostri ringraziamenti per la preziosa opera di ricerca. Cliccando sul nome esposto in rosso si accede direttamente al sito Kalosconcentus dentro al quale si può navigare e scoprire quanto lavoro di indagine è stato fatto riguardo agli antenati dei nostri strumenti musicali.
L’arpa è uno degli strumenti più antichi di cui si abbia notizia: infatti appare in molte testimonianze iconografiche attraverso i millenni e viene citata anche nella Bibbia. Per questo motivo nella simbologia medievale lo strumento è associato al re Davide ed è considerato degno dei nobili e dei principi. In Europa il punto di partenza per la diffusione dell’arpa nel Medioevo furono l’Irlanda e l’Inghilterra, dove anticamente era chiamata “chrotta”. In questi due paesi l’arpa fu considerata fin da allora lo strumento nazionale.
Alla fine del Medioevo esistevano in Europa due modelli distinti di arpa: la gotica e l’irlandese.

(esempio di ARPA GOTICA con collegamento a YouTube per il video-ascolto di Amy Turk. Il link è stato inserito da Derekson nei lavori di Kalosconcentus).
L’arpa gotica è descritta da diversi trattatisti della prima metà del XVI sec., tra cui Virdung (1511), Agricola (1559) e Glareano (1547). La forma di questo strumento è quella tipica a triangolo, che – con modifiche non sostanziali – è la stessa in uso odiernamente: i tre lati del triangolo sono formati dalla cassa armonica, a cui sono fissate le corde, che appoggia sul petto e sulla spalla del suonatore; dalla mensola, con la tipica forma ondulata, da cui fuoriescono i piroli mediante i quali si intonano le corde; e dalla colonna, che può essere dritta o leggermente arcuata verso l’esterno per meglio sostenere la tensione delle corde. Queste ultime sono di budello e vengono intonate diatonicamente: il loro numero può variare da 54 a 56, partendo da Fa1 fino ad arrivare a La3 o Do4.
(esempio di ARPA IRLANDESE (seppure elettrificata) con collegamento a YouTube per il video-ascolto di Marion Le Solliec e Nathalie. Il link è stato inserito da Derekson nei lavori di Kalosconcentus).
Il modello irlandese si differenziava dal gotico in primo luogo perché montava corde di metallo al posto di quelle di budello, secondariamente per l’intonazione di queste, che poteva anche comprendere dei semitoni cromatici.
Questa particolare arpa ha un’utilizzazione prevalentemente popolare… ed è incisa sulla moneta irlandese da 1 Euro.
(testo di Franco Boaretto)
Nota aggiunta da Derekson. Dall’Arpa irlandese è derivata l’Arpa celtica (o gaelica) [link a Wikipedia]. 
esempio di ARPA CELTICA   con collegamento a YouTube per il video-ascolto di Silvia Pezzuto. 

B

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la BOMBARDA

Quanto scritto in corsivo è tratto dalla pagina di wikipedia alla voce Bombarda.
La bombarda è uno strumento musicale a fiato ad ancia doppia, della famiglia degli oboi. Il nome le è dovuto alla sua potenza sonora (in associazione ideale con l’arma da fuoco).
Originaria del Medio Oriente, ebbe notevole diffusione in Europa già a partire dal Medioevo divenendo uno degli strumenti ad ancia doppia più rilevanti nella cultura dell’epoca. Molto utilizzata e diffusa anche durante il Rinascimento, finché cadde in disuso soppiantata gradualmente dal più moderno oboe. Permane come strumento tipico nella cultura e nella musica popolare di diversi paesi dell’area europea. Simili strumenti sono presenti nell’area araba (zurna) ed asiatica (per esempio in Cina il corrispondente è il suona).
l’immagine è stata tratta da Wikipedia
Note di Derekson: associati idealmente a questo strumento sono le seguenti voci (tutte appartenetenti agli strumenti aerofoni a doppia ancia):  Dulciana (che non è la Dolzaina), Mizmar, Oboe, Suona, Sopila, Zurna [torna al menu per indagare].

 

Esempio di esecuzione fatta con una Bombarda (collegamento aggiunto da Derekson)

Origini, suono e utilizzo della bombarda, strumento ad ancia doppia che vive e si afferma nel Medioevo e resterà molto utilizzato fino alla fine del XVI secolo, quando lascerà spazio al cornetto e poi all’oboe barocco. Il brano è proposto da Matteo Nardella della Schola Cantorum Basiliensis  ed è contenuto nel canale Youtube della Fondazione Cariperugia Arte. A Matteo, alla Fondazione Cariperugia Arte e a Youtube  il nostro ringraziamento per l’esecuzione e per la pubblicazione)

C

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CROMORNO

NB Tutta la descrizione sotto illustrata (scritta in corsivo italico) relativa al Cromorno, salvo diversamente specificato, è stata tratta pari pari dal sito kalòsconcentus.org magistralmente  curato dal Prof. Sergio Lonoce e dai suoi collaboratori ai quali  vanno  i nostri ringraziamenti per la preziosa opera di ricerca. Cliccando sul nome esposto in rosso si accede direttamente al sito Kalòsconcentus dentro al quale si può navigare per scoprire quanto lavoro di indagine sia stato fatto riguardo agli antenati dei nostri strumenti musicali.
Forse non tutti sanno che esistono i flauti “da passeggio”, bastoni per camminare che alla bisogna si trasformano in flauti veri e propri. E poi esistono gli strumenti a fiato a forma di manico d’ombrello, ma che io sappia non sono stati mai utilizzati per ripararsi dalla pioggia, però ci si potrebbe fare un pensierino…
A parte le facezie, nell’organologia il cromorno siede su uno scranno importante. Qui sotto potete osservare un’illustrazione tratta dalla Sciagraphia del Syntagma Musicum di Praetorius (1617), e potete ammirare la celebrata forma a manico d’ombrello.

Cromorno: il nome deriva da krumbhorn o krummhorn (krumm in tedesco significa “storto”). È un aerofono a doppia ancia incapsulata, come la cornamusa, ma molto più sonora, perché la canna termina completamente aperta. Come vedete, anche questo strumento ha diverse taglie, dalla più acuta alla più bassa.
Fra gli strumenti ad ancia incapsulata è considerato il più antico, ma… che cos’è un’ancia incapsulata? L’ancia, che in questi strumenti è doppia, è formata da due piccole lamelle di canna sovrapposte e legate a un cannello, che vengono fatte vibrare dallo strumentista. La vibrazione, che di per sé ha un suono assai ridicolo, viene amplificata e modificata dalla canna dello strumento per assumerne il timbro peculiare. Strumenti moderni a doppia ancia sono l’oboe, il corno inglese, il fagotto e il controfagotto. Nella cosiddetta early music troviamo la bombarda, la cialamella, la cornamusa (o dolzaina), il cromorno, il sordone, il rackett, il bassanello, la zampogna e altri.
Quando la doppia ancia è “incapsulata” significa che è inserita in una capsula, cosicché il suonatore non mette in bocca l’ancia stessa, ma la capsula, soffiandoci dentro attraverso il foro di insufflazione. Nell’illustrazione precedente potete osservare i cromorni “scoperti” (secondo e quinto in alto da sinistra), su cui si intravede montata l’ancia, e le relative capsule alla loro destra.
Il cromorno del Kalòs è marcato Moeck, ed è un soprano. Nella foto qui sotto è amorevolmente appoggiato alla dolzaina.

Note di Derekson: associati idealmente a questo strumento sono le seguenti voci (tutte appartenetenti agli strumenti aerofoni a doppia ancia): bombarda, Dulciana (che non è la Dolzaina), Mizmar, Oboe, Suona, Sopila, Zurna [torna al menu per indagare].

Esempi di esecuzioni fatte con vari tipi di Cromorni (collegamenti aggiunti da Derekson)

 
Nella playlist sono presenti :
n.1 – Pillole di organaria: il Cromorno di Sandro Carnelos: video didattico proposto da Organum. (grazie a Organum e a Youtube per la didattica e la pubblicazione);
n.2 – Improvvisazione didattica proposta da mauroncello mandello  (grazie a mauroncello mandcello  per la didattica e la pubblicazione);
n.3Casa Museo Spada, Antichi Strumenti Musicali. Per informazioni: Facebook oppure www.collezionespada.it . IL CROMORNO, nella pittura del ‘500, è spesso suonato da angeli. Questi strumenti, molto popolari in Francia, Germania e Paesi Bassi, avevano una estensione molto limitata, poco più di una ottava, per cui venivano suonati in consort, dal soprano al basso, per ampliarne l’estensione. Questo è un cromorno soprano, lungo mm. 370, in legno tinto  con sette fori anteriori, uno posteriore più due di risonanza sulla campana e una ghiera di ottone. È visibile una riparazione a forma di scudo nella parte anteriore del corpo sotto la ghiera e sopra il primo foro (probabilmente è stato perso o asportato uno stemma). Il cromorno è uno strumento, rinascimentale, a cameratura cilindrica, ad ancia doppia incapsulata, Il cui nome deriva dal tedesco Krummhörn (corno curvo) per la caratteristica forma a manico d’ombrello ottenuta piegando a vapore il legno dopo la foratura. (grazie a Collezionespada e a Youtube per l’esecuzione e la pubblicazione);
n.4 – Il Cromorno, antifona canone “O Virgo splendens”, derivazione dal Gregoriano, Libre Vermell, anno 1370, studio con il Cromorno di Giovanni Vianini [Milano] (grazie a Giovanni Vainini e a Youtube per l’esecuzione e la pubblicazione);
n.5 – brano di Johann Hermann Schein,  Pavana  suggestivamente arrangiata  ed eseguita con 4 tipi di Comorno da Eduardo Antonello e completata con Viola, Virginale e  Percussioni  (grazie a Eduardo e a Youtube per l’esecuzione e la pubblicazione).

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la CORNAMUSA

La cornamusa è uno strumento rustico a fiato formato da due (o più) canne con imboccatura ad ancia e da un otre di pelle che si riempie di aria tramite un ulteriore tubo. Si tratta di uno strumento a riserva d’aria. Infatti, con la compressione dell’aria che si raccoglie nell’otre e il passaggio di quest’ultima attraverso le canne dotate di ance, si ottiene il caratteristico suono. Una delle canne ha fori laterali che servono per la melodia mentre le altre fungono per lo più da basso monotonale d’accompagnamento.
Si tratta di uno strumento  qualificato da alcuni come “pastorale” (detto anche Piva o Zampogna ma contraddistinto da queste ultime per alcune differenze sostanziali). La cornamusa è conosciuta in tutto il mondo ma è particolarmente usata in Europa tra le popolazioni di origine celtica del Nord.
Esistono importanti differenze tra cornamusa e zampogna. Quest’ultima   è usata prevalentemente dalle popolazioni italiane del Centro-Sud.
Con il termine cornamusa è indicato uno strumento aerofono aerofono a sacco. La differenza sostanziale rispetto alla zampogna consiste nel fatto che nella cormanusa le canne sono inserite direttamente nella sacca [la canna di immissione dell’aria, i bordoni (canne di emissione secondarie monotonali) nonché il chanter (canna di emissione principale dove è suonata la melodia)] mentre nella zampogna alle canne è interposto lo “zuppone” (che consiste in un condotto ligneo) che ha il compito di collegare  le varie canne alla sacca.
Le cornamuse europee si distinguono sostanzialmente in due tipi : ad aria calda (blown pipes: più utilizzate in Scozia c.d. Great Highland Bagpipe; il caldo dell’aria è dato dal fiato umano) e ad aria fredda (bellow pipes: più utilizzate in Irlanda). 
esempio di cornamusa scozzese ad “aria calda” (collegamento a YouTube)
Grazie a Massimo Giuntini un esempio e una spiegazione della cormausa irlandese ad “aria fredda” (collegamento a YouTube)

D

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la DOLZAINA
(pronuncia : dolzàina)
NB Tutta la descrizione sotto illustrata (scritta in corsivo italico) relativa al Cromorno, salvo diversamente specificato, è stata tratta pari pari dal sito kalòsconcentus.org magistralmente  curato dal Prof. Sergio Lonoce e dai suoi collaboratori ai quali  vanno  i nostri ringraziamenti per la preziosa opera di ricerca. Cliccando sul nome esposto in rosso si accede direttamente al sito Kalòsconcentus dentro al quale si può navigare per scoprire quanto lavoro di indagine sia stato fatto riguardo agli antenati dei nostri strumenti musicali.
Michael Praetorius, teorico della musica tedesco (1571-1621) nel suo Syntagma Musicum (1619), chiama dolzàina o cornamusa un aerofono a doppia ancia incapsulata (per maggiori informazioni vai nel sito a “Kalòsconcentus cromorno“). Andrea Bernstein, nel suo Gli strumenti musicali del Rinascimento (p. 117-120) afferma che “probabilmente ‘cornamusa’ sta per ‘cornamuto’, termine che Zacconi riferisce anche al cromorno, detto appunto nel suo trattato ‘cornamuto torto’, per la sua forma particolare”. Ma è bene precisare che per cornamusa non si deve intendere la più nota bagpipes scozzese (anche gaita in Spagna, musette in Francia, zampogna o piva in Italia, un aerofono a sacco o serbatorio). Insomma, vi è grande confusione di nomi, e così noi abbiamo deciso di chiamare il nostro strumento solo “dolzaina”.
È considerato uno strumento più rinascimentale che medievale, ma le prime testimonianze sembra risalgano ad epoche precedenti: la dolzaina compare frequentemente negli inventari e nella letteratura dei secc. XIII-XVI; Douglas MacMillan (“The mysterious cornamuse” in EM VI, 1978, pp. 75-77) cita un poema francese del sec. XIV, L’echo amoreux, dove la dolzaina (douçaine) è catalogata fra gli strumenti bassi.
Il suono è molto suggestivo, simile al cromorno ma più morbido e delicato, anche perché la campana finale, a differenza dei cromorni, è quasi chiusa, con solo piccoli fori. La diteggiatura è quella del flauto dolce, la pressione del fiato deve essere, però, molto maggiore. Purtroppo non ci sono rimasti esemplari originali né raffigurazioni; neanche i trattati di Praetorius ne riportano le immagini, se non le taglie: soprano, alto, 2 tenori (dal si bem. o dal do), basso.
La dolzaina del Kalòs è una dolzaina tenore, creata con legno di sicomoro da Grzegorz Tomaszewicz, polacco di Varsavia.

irmato Nussbaum (Kalòsconcentus)
Note di Derekson: associati idealmente a questo strumento sono le seguenti voci (tutte appartenetenti agli strumenti aerofoni a doppia ancia): bombarda, Dulciana (che non è la Dolzaina), Mizmar, Oboe, Suona, Sopila, Zurna [torna al menu per indagare].

Esempio di esecuzione fatta con una Dolzàina (collegamento aggiunto da Derekson)

In questo video Alberto esegue un brano con una forma di dolzaina (ne esistono vari tipi). Quello qui proposto è molto simile ad una bombarda. Il brano è proposto da Angel Alsasua. Ad Alberto, ad Angel e a Youtube, il nostro ringraziamento per l’esecuzione e per la pubblicazione).

F

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il FLAUTO

NB Tutta la descrizione sotto illustrata relativa al Flauto, salvo diversamente specificato, è stata tratta pari pari dal sito kalosconcentus.org magistralmente  curato dal Prof. Sergio Lonoce e dai suoi collaboratori ai quali  vanno  i nostri ringraziamenti per la preziosa opera di ricerca. Cliccando sul nome esposto in rosso si accede direttamente al sito Kalosconcentus dentro al quale si può navigare e scoprire quanto lavoro di indagine è stato fatto riguardo agli antenati dei nostri strumenti musicali.
Nel Medio Evo erano così chiamati i flauti diritti, capostipiti della famiglia dei moderni flauti dolci. Il flauto traverso, o traversiere, era chiamato “flauto tedesco”, perché la sua diffusione in Europa sembra sia partita proprio dalla Germania.

Qui sopra la Tavola IX della Sciagraphia di Praetorius (che è in realtà un’appendice al Theatrum Instrumentorum – che a sua volta è il secondo volume del Syntagma Musicum – che consiste in 42 splendide tavole delle famiglie strumentali considerate nel trattato) raffigura l’intera famiglia dei flauti dolci (1 e 2), i flauti traversi (3), il fiffaro militare (4), i flauti a 3 buchi (5) e il tamburo che viene suonato insieme al flauto a 3 buchi (6).
In questa pagina parleremo di entrambe le tipologie di strumenti.

Flauti dolci

Ros.: How can that be,
when you have the voice of the king himself for your succession in Denmark?
Ham.: Ay, sir, but ‘While the grass grows’—the proverb is something musty.
[Re-enter the Players, with recorders.]
O, the recorders:—let me see one.
(Hamlet, ACT III., Scene II)

Quello che ammirate qui sopra è il cosidddetto flauto Dordrecht, l’esemplare più antico sopravvissuto della famiglia dei flauti diritti, risalente alla metà del XIII sec.
La produzione del suono in questi strumenti avviene attraverso il labium, una specie di linguetta affilata e sagomata sul corpo dello strumento contro la quale viene convogliato il soffio dello strumentista. L’aria insufflata si infrange contro il labium producendo una vibrazione che poi verrà modulata dal corpo e dai fori dello strumento diventando, meravigliosamente, suono.
La famiglia dei flauti è formata normalmente da sopranino, soprano, alto, tenore, basso. Il legno può variare: acero, palissandro, bosso… I modelli si sono trasformati nel tempo (non necessariamente evoluti…), dal medievale, con fori e canale larghi, al barocco, con fori e canali più stretti. Nel Kalòs suoniamo:
– un flauto medievale soprano in ciliegio e uno alto del costruttore romano Vincenzo De Gregorio, dal suono pieno e dolce, e un sopranino rinascimentale in legno di pero del marchio tedesco Kobliczek, prodotto da Christoph Hammann, nella foto qui sotto:

 

– sempre dall’atelier Kobliczek un flauto tenore rinascimentale, modello “Praetorius” in legno di pero:

 

 

– infine, alla bisogna, due flauti dolci barocchi soprano e alto, modello Rottenburgh, in bosso, del marchio Moeck:

 

Che differenza fra i flauti medievali-rinascimentali e i flauti barocchi? Sostanzialmente il suono. L’evoluzione ha portato i costruttori a ricercare suoni sempre più perfetti per intonazione e con estensioni maggiori, per poter stare al passo con gli altri strumenti dell’orchestra barocca, i violini su tutti. Ma, inevitabilmente, anche il timbro è cambiato, perdendo quella morbidezza e rotondità tipiche dei flauti medievali e rinascimentali.

In qualità di insegnante di Educazione Musicale nella Scuola Secondaria di I Grado mi è doveroso fare un appunto sull’uso di questo strumento per l’attività didattica. Esso infatti è un po’ croce (molta) e delizia (non sempre) rispettivamente per genitori e per i figli, del palinsesto didattico della scuola dell’obbligo. Anche per me, che lo suono nel Kalòs, è inizialmente stato fonte di disagio doverlo insegnare essendo effettivamente l’unico strumento di basso costo e dal limitato tempo di rapporto allievo-docente. Col tempo mi sono ricreduto: oltre all’opportunità che offre di suonare insieme (non mi dilungo qui sulle competenze trasversali che tale attività stimola nell’allievo), il flauto dolce nella scuola – se insegnato e suonato dignitosamente (gli errori non inficiano l’avverbio) – è utile per la manualità fine, aiuta a prendere coscienza delle funzioni delle diverse parti del proprio corpo (la sincronizzazione fra dita-lingua-fiato non è sempre immediata) e, last but not least, è bello da sentire, se lo si accompagna con un pianoforte vero e non con quelle orrende basi che vengono fornite dai libri scolastici.

Traversa medievale

Il flauto traverso era presente nell’area mediterranea già all’epoca dei romani: il Mosaico del Nilo *, ora al Museo Archeologico Nazionale di Palestrina *, e un affresco del I sec. d.C. nella Domus Aurea di Roma * ne danno chiara testimonianza. Da allora, però, per avere nuove immagini che rendicontino l’uso della traversa nell’Europa Occidentale, dobbiamo risalire al Basso Medioevo, nel XII sec.
Gianni Lazzari* ha pubblicato un libro sul flauto traverso che è oggi il trattato forse più esaustivo dell’argomento. Alla traversa medievale sono purtroppo dedicate solo una decina di pagine, ma non gliene si può fare una colpa, anzi, il musicologo e flautista bolognese ha saputo concentrare in quelle pagine tutto quanto si possa dire su questo strumento nel periodo che va dalle origini alla fine del Medioevo: solo nel Rinascimento il flauto traverso ha cominciato ad essere protagonista delle scene musicali in tutta Europa e a fare il suo ingresso nei trattati strumentali.
Lazzari ripropone un inventario iconografico di Liane Ehlich (in L’iconografia del flauto traverso nel Medioevo, in “Sýrinx”, VIII, 28, aprile-giugno 1996, pp. 20-25) per cui si conoscono 36 immagini dello strumento: 2 nel XII sec., 4 nel XIII, 24 nel XIV e 6 nel XV. Eccone qui di seguito alcune.

 

Copia di Sirene dall’Hortus deliciarum* della Badessa Herrad di Landsberg, sec. XII (l’originale andò perduto in un incendio nel 1877). Parigi, Bibliothèque National [*link a Wikipedia aggiunto da Derekson]
Coppia di flautisti, miniatura delle Cantigas de Santa Maria *, XIII sec., Madrid, Biblioteca dell’Escorial [*link a Wikipedia aggiunto da Derekson]

 

Codice di Manesse *, XIV sec., Heidelberg, Universitätsbibliothek
[*link a Wikipedia aggiunto da Derekson]
Annunciazione, dalle Petits Heures du Duc de Berry*, inizio del XV sec., New York,
Metropolitan Museum of Art.
In alto a sinistra angelo flautista
[*link a Wikipedia aggiunto da Derekson]
Si può notare come in alcune di queste immagini i flautisti reggano lo strumento a sinistra, una postura evidentemente diffusa fra i flautisti dell’epoca.
Il traversiere consiste in un tubo cilindrico, sul quale vi sono 6 fori (tre per la mano destra e tre per la sinistra) oltre al foro dell’insufflazione. A differenza del flauto dolce, qui manca il “fischietto”, o meglio, è lo strumentista che indirizza il circolino del fiato contro la parete opposta del foro di insufflazione, producendo la vibrazione che poi diventa il suono.
Le traverse medievali, come già detto, si sa che esistessero, ma non si sa come fossero fatte, o meglio, lo si può dedurre solo dalle immagini e dai successivi trattati rinascimentali (il Musica getuscht und ausgezogen di Sebastian Virdung del 1511; il Musica instrumentalis deudsch di Agricola, del 1529 e, ovviamente, il Syntagma Musicum di Praetorius, più volte citato); del resto, è ovvio pensare che questi trattatisti abbiano descritto nel Cinque-Seicento strumenti che avessero già una storia importante alle spalle.
Le due traverse del Kalòs sono in re, modello “Cantigas”, amorevolmente estratte e miracolosamente intagliate nell’acero nell’atelier di Vincenzo De Gregorio. A queste, dello stesso costruttore, si è ultimamente aggiunta una traversa in sol (a sinistra nella foto), in legno di pero.

G

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la GHIRONDA:

La Ghironda (<-premere per vedere accordo.it) è uno strumento a “corde” (cordofono) che mediante lo strofinamento di un disco produce  vibrazioni sonore  (vedi wikipedia premendo il titolo “la GHIRONDA”). Lo strumento viene azionato grazie ad una ruota di legno coperta di pece la quale viene messa in moto manualmente dall’esecutore attraverso una manovella.   La ruota,  sfregando le varie corde, sollecita cantinibordonitrompette. I cantini (corde) sono posti nella parte centrale dello strumento e sono controllati da una tastiera. La tastiera comanda delle penne che, pizziando  le corde, realizza  la melodia. I bordoni (corde), posti vicino al piano armonico, producono solitamente un suono tonale continuo. La corda della trompette, poggiando su un ponticello mobile, produce il caratteristico ronzio.

ANDREY VINOGRADOV: Reverce danceNorthern balladeDark Medieval blues

BRUNA GIORGINI con GIUSEPPE PAOLO CECERE: Theatrum Instrumentorum

IGOR FERRO: introduzione alla ghironda

SERGIO VERNA (liutaio) con LA STAMPA (quotidiano)

L

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il LIUTO

NB Tutta la descrizione sotto illustrata relativa al Liuto, salvo diversamente specificato, è stata tratta pari pari dal sito kalosconcentus.org magistralmente  curato dal Prof. Sergio Lonoce e dai suoi collaboratori ai quali  vanno  i nostri ringraziamenti per la preziosa opera di ricerca. Cliccando sul nome esposto in rosso si accede direttamente al sito Kalosconcentus dentro al quale si può navigare e scoprire quanto lavoro di indagine è stato fatto riguardo agli antenati dei nostri strumenti musicali.
“Il liuto è uno strumento musicale che si discosta generalmente dagli altri per la delicatezza del suo timbro. Ha cinque cori di corde, sempre doppi, e nove tasti sul manico creano le diverse note mediante l’applicazioni delle dita. Il suo corpo concavo fa le veci del petto umano; la rosetta della bocca; il manico è simile alla trachea, e le dita, correndo su esso, fanno la funzione dell’epiglottide; il pizzicare delle corde è simile alla compressione dei polmoni che fa uscire la voce, ma il budello delle corde è come la lingua mediante la quale si articolano i suoni. Il liutista è l’intelligenza che produce il canto.” (Paulus Paulirinus, Liber Viginti Artium, 1460 ca)
È incredibile cosa ci si sia inventato per paragonare lo strumento alla voce umana, una tendenza molto diffusa in antichità, perché la voce era considerata lo strumento perfetto. Così, se per gli strumenti a fiato il problema è più semplice (pensiamo al cornetto rinascimentale, uno strumento che sa imitare perfettamente la voce umana), per i cordofoni il discorso si complica, e allora si usano le metafore più spinte.
Il liuto fu importato in Europa dalla cultura araba, nel Duecento: il suo nome arabo è al’ud, o oud, ma ancora nel Rinascimento l’origine dello strumento non era molto conosciuta, se Vincenzo Galilei scrisse sulla timologia (sic) del liuto che “dico essere stati altri di parere, ch’egli fosse detto lauto, cioè sontuoso, magnifico. nobile et splendido”. Insomma il liuto era, ed è tuttora, un gran bello strumento.
I liuti del Kalòs sono due: uno è arabo (oud), l’altro è un liuto prerinascimentale costruito dal liutaio Fabio Galgani (il presente rimando è stato personalizzato da Derekson. Si possono trovare alcuni saggi in PDF (scaricabili) realizzati proprio da Fabio Galgani).
Ecco, fra l’altro, cosa è riportato sul sito della Società del Liuto:
“Come tutti sappiamo, il liuto è uno strumento di antichissima origine araba entrato a far parte della vita musicale europea durante il periodo medievale. La configurazione dei liuti arabi antichi era probabilmente non troppo dissimile da quella degli Ud che sono ancora in uso nella pratica musicale nord africana e medio orientale. Nel passaggio dalla cultura araba a quella europea, il liuto subì comunque delle modifiche (prima fra tutte la tastatura del manico, assente negli strumenti arabi) che permisero di eseguire sullo strumento il repertorio musicale occidentale. Intorno al secolo XIV troviamo il liuto europeo ormai svincolato dal modello arabo e stabilizzato nelle sue configurazioni tipiche a quattro e a cinque cori. Non non sono rimasti esemplari integri di liuti medievali ma ne possiamo vedere ancora belle raffigurazioni nei dipinti del tempo. Il liuto Trecentesco veniva suonato con il plettro e su di esso si eseguivano brani di tipo monodico o di semplice ambito polifonico con eventuale accompagnamento di corde vuote che fungevano da bordoni.
Non si hanno notizie certe su come venissero accordati i liuti di questo periodo: probabilmente, nemmeno esistevano regole precise e, forse, ogni liutista seguiva un criterio proprio.”
L’acquisto di un nuovo strumento che andasse a nobilitare il nostro instrumentarium ci ha permesso di incontrare Fabio Galgani nella sua liuteria di Massa Marittima. Definire semplicemente liutaio Fabio Galgani sarebbe riduttivo. Grazie alla sua disponibilità, alla corrispondenza intrattenuta e con il suo permesso vorremmo citare qualche estratto dalle sue pubblicazioni e mettere in risalto alcune riflessioni, il suo profilo come studioso di musicologia e liuteria nonché costruttore del liuto in nostro possesso, che nello specifico trattasi di una ricostruzione di un liuto prerinascimentale a cinque cori secondo Arnault de Zwolle, corpo e manico in acero, tavola armonica in abete rosso, tastiera e finiture in pero.
Degli strumenti anteriori al sec. XVI, salvo alcune e poco significative eccezioni, non esistono esemplari superstiti, né le loro parti costitutive residue, per cui è necessario documentarsi dalle poche fonti storiche disponibili e soprattutto dall’iconografia.
Le fonti storiche medievali si dimostrano assai deludenti poiché si soffermano prevalentemente su problemi teorici e, quando affrontano tematiche organologiche, danno informazioni insufficienti, contraddittorie, raramente attendibili.
Solo l’iconografia dell’epoca ci fornisce informazioni preziose, tuttavia è necessario saper riconoscere raffigurazioni di fantasia, mitologiche, allegoriche, nonché le non rare deformazioni prospettiche.
Devono anche essere compresi i manierismi e le bizzarrie di pittori e scultori, così come i loro simbolismi teologici e filosofici. È comunque intuibile che l’iconografia non potrà mai fornirci informazioni sulle parti costruttive interne e neppure sugli spessori o sull’esatta convessità di tavole armoniche e fondi, elementi di primaria importanza per la resa acustica degli strumenti.
La materia è quasi inesauribile. Sempre nuove scoperte e conseguenti deduzioni mi hanno fatto più volte riconsiderare soluzioni tecnico-costruttive adottate in precedenza. Non è raro che alcune scelte mi sembrino poi viziate dalla mia incapacità di rendermi immune dagli attuali paradigmi, e dall’impossibilità di calarmi nella cultura dei musicisti e degli ascoltatori medievali, non dimenticando che gusti e ricettività si modificano continuamente, e uno strumento che all’epoca comunicava un certo stimolo emotivo, attraverso la musica e la sonorità, oggi non garantisce affatto un’identica percezione.
La forma e la funzione dello strumento, la loro interazione e continua evoluzione, nonché la loro integrazione con la voce umana e con gli altri strumenti, la prassi esecutiva del tempo, sono altri elementi da considerare.
Per gli esemplari più antichi capita anche che, steso il progetto con il massimo rigore, ci accorgiamo che lo strumento da ricostruire presenterebbe caratteristiche tali da essere ritenute ‘difetti’ dalla quasi totalità dei musicisti, quali ad esempio l’obbligo di postura inconsueta, la scarsa maneggevolezza della tastiera e dell’arco, o la sonorità troppo contenuta.
Si tratta in realtà dell’incapacità di adattamento dei musicisti e della loro istintiva difficoltà a svincolarsi dai modelli tecnici e percettivi attuali. Il liutaio non potendo ignorare questo problema, di norma apporta interventi correttivi al progetto originale, senza tuttavia introdurre elementi arbitrari o del tutto estranei al contesto storico di appartenenza, ma adottando quegli accorgimenti che garantiscono, in sintonia con le aspettative dei musicisti, un più facile approccio allo strumento e una resa acustica ottimale (cfr: Fabio Galgani – Gli strumenti musicali nella Maestà di Ambrogio Lorenzetti a Massa Marittima. Analisi storica e ricostruzione, da “I Quaderni del Centro Studi”, Centro Studi Storici Agapito Gabrielli, Massa Marittima, 2000) .
Fabio Galgani, nato a Massa Marittima (GR) nel 1950, allievo di Raffaello Giotti, già allievo del grande Gaetano Sgarabotto (scuola Parmense), subito dopo gli studi di liuteria classica, si è specializzato in organologia, liuteria e musicologia medievale e rinascimentale. Per la sua ampia produzione rara e raffinata, che nel corso degli anni ha coperto quasi esaustivamente ogni tipologia di strumento antico, ha riscosso molteplici riconoscimenti e consensi a livello internazionale.
Opere di Galgani fanno parte della dotazione strumentaria di molte istituzioni pubbliche italiane ed estere, fra cui citiamo i conservatori di Colonia, Trossingen, Zurigo, Lione, e l’Università “La Sapienza” di Roma e il Museo di Liuteria di Atri.
Ampia produzione discografica è incisa con i suoi strumenti dai più noti professionisti di musica antica.
Sulla base delle sue ricerche storico-iconografiche, nei primi anni Ottanta ha per primo progettato e costruito, in epoca moderna, la “viella da gamba”, molto apprezzata dai grandi interpreti ed oggi regolarmente diffusa.
Stampa specializzata e locale, emittenti televisive si sono più volte interessati alla sua attività. La sua biografia è già pubblicata in diverse enciclopedie italiane ed estere. Ha tenuto inoltre molte conferenze, concerti e concerti-lezione su tematiche organologico-liutarie.
Anche valente concertista di flauto dolce, linguista per diletto (autore di un importante volume di onomastica), di vivissima curiosità intellettuale, con interessi che spaziano su discipline più diverse, ha affrontato la ricostruzione degli antichi strumenti con rigore filologico, tenendo conto della cultura e delle opere musicali dell’epoca, dell’evoluzione del gusto musicale, dell’acustica ambientale, senza tuttavia trascurare, quando motivate, le richieste dei musicisti di oggi.
Fabio Galgani è anche autore di molti saggi, ha collaborato con ricercatori universitari per l’interpretazione organologica di antiche opere pittoriche.
A tal proposito vorrei citare Gli strumenti musicali nella Maestà di Ambrogio Lorenzetti a Massa Marittima. Analisi storica e ricostruzione (v. nota 1) dove vengono individuati e descritti, con estrema precisione anche per il loro inquadramento storico, due vielle, un salterio ed una citola. Sono strumenti coevi ad Ambrogio Lorenzetti e dalla precisione dei dettagli con i quali li ha ritratti, come anche dalla impostazione appropriata assunta dagli angeli per suonarli, si può fondatamente presumere, come Galgani ipotizza, che l’autore fosse un cultore di musica o egli stesso suonatore di quegli strumenti.
I quattro strumenti in esame sono stati ricostruiti da Fabio Galgani con l’intento di fornire una documentazione storica, nel massimo rispetto della fonte iconografica, lasciando alla sua interpretazione solo le parti costitutive interne e quanto non visibile nel dipinto. (Stefano da Sesto)

M

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la MIZMAR
(fonti:  *1)Wikipedia, *2)danzaemusicaaraba)

Una mizmar (arabo: مزمار) è uno strumento a fiato proprio della musica araba (a singola o doppia ancia). In Egitto, il termine mizmar di solito si riferisce alla ciaramella di forma conica che è chiamata zurna in Turchia (fonte: *1).
Il termine è anche utilizzato per indicare un gruppo di musicisti (cd Zummarin), di solito un duo o trio, che suonano mizmar con un accompagnamento di un tipo di grancassa 8a doppia pelle) conosciuta in arabo come tabl baladi o semplicemente tabl. Di solito le mizmar vengono suonate in Egitto ai matrimoni o per l’accompagnamento della danza del ventre (fonte *1).
La mizmar generalmente si compone di tre pezzi di legno, con 7 fori sulla parte davanti e uno sul retro (fonte: *2).
Si suona con la tecnica della respirazione circolare: il musicista incamera aria nelle guance che spingerà nello strumento durante l’inspirazione, in modo da non interrompere mai il flusso dell’aria in uscita (fonte: *2). Questa tecnica, usata anche per suonare l’Arghoul, rende il suono simile a quello di una cornamusa (fonte: *2).
In Egitto esistono tre tipi di Mizmar, con lunghezza e registro diversi. Il più piccolo, dal suono più acuto, si chiama Sîbs, quello di taglia media Shalabîya o “mizmar sa’idi”, il più grande Telf (fonte: *2).
In Libano, Palestina e Siria, la mizmar sente l’influsso della zurna turca, che ha un suono più acuto della mizmar, e può anche essere chiamata zamr (زمر) o zamour.  In Marocco un analogo strumento si chiama ghaita o rhaita (غيطه) (fonte: *1).  Oltre alla danza del ventre, la mizmar può accompagnare la dabkah, una danza folcloristica in Libano, Siria, Palestina e Iraq (fonte: *2).
Data la grande sonorità di questo strumento, non si usa tradizionalmente per accompagnare brani cantati: a meno di non giocare parecchio con la regolazione dei volumi con un potente mixer audio, il mizmar coprirebbe completamente la voce del cantante (fonte: *2).

Esempio esibizione mediante “mizmar” 
(collegamentO aggiunti da Derekson)

O

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l’OBOE

Quanto scritto in corsivo è tratto, ma esposto qui in termini più sintetici, dalla pagina di wikipedia alla voce Oboe.
L’oboe è uno strumento aerofono a fiato ad ancia doppia appartenente al gruppo orchestrale dei legni. Ha un suono acuto molto forte. l’Oboe ha una forma conica, ed abitualmente è fatto di Ebano (legno scuro e duro)  ma anche, più raramente, di palissandro. Le chiavi dello strumento sono in metallo, generalmente argentone (lega rame-zinco) .
Per suonarlo si fa uso di un’ancia doppia fatta solitamente di canna palustre.
Si tratta di uno strumento che è utilizzato usualmente nella musica da camera, nelle bande, nelle orchestre sinfoniche e anche come solista; a volte anche nel jazz. Tra i principali compositori che hanno scritto musica per lo strumento è possibile ricordare Antonio Vivaldi, Tommaso Albinoni, Johann Sebastian Bach, Alessandro Marcello, Domenico Cimarosa, Georg Friedrich Händel, Wolfgang Amadeus Mozart, Robert Schumann, Richard Strauss. L’utilizzo dell’oboe si è oggi diffuso anche nelle colonne sonore dei film nonché nei brani di musica leggera.
La nascita dell’oboe risale all’antichità. Ne è nota la presenza nell’antico Egitto, in Cina, Arabia e Grecia sotto forma di strumenti (ciaramelle e pifferi), suoi progenitori.
In India una versione più semplice degli oboi primitivi era nota col nome di oton. Aveva un’ancia doppia ed emetteva quarti di tono. Presso i Greci l’oboe era inserito nel gruppo degli strumenti a fiato detti aulòi (tibie presso i romani). I musulmani ne avevano più di uno: il nagassàran (piccolo e acuto) e il soummagiè (più grande e grave). Forme simili a queste sopravvivono tutt’oggi sotto il nome di zarm (zourna in persiano) in tre specie: lo zarm al-kabir, “ossia “zarm grande” (grave), lo zarm (medio) e lo zarm al-sughayr, ossia “zarm piccolino” (acuto) più una versione meno diffusa detta eraggek (il più basso di tutti e intonato per quarti di tono).
Nel Medioevo in Europa si diffuse la famiglia delle bombarde e dalla più piccola di queste, la ciaramella, derivò l’oboe.
La nascita del termine oboe risale al tardo XVII secolo per opera dei francesi, che chiamarono questo strumento hautbois, da cui deriva il termine italiano settecentesco oboè. Il nome hautbois esportato nei diversi paesi ha cambiato la sua forma fino a divenire hautboy in inglese, Obòe in tedesco e òboe (già oboè nel ‘700) in italiano. L’oboe che conosciamo oggi è l’erede di una lunga tradizione di strumenti ad ancia doppia. La sua importanza tra i fiati dell’orchestra barocca è testimoniata anche dal fatto che l’oboe dà il «La» agli altri strumenti dell’orchestra, per alcuni perché l’oboe spesso sostituiva il violino nelle orchestre, mentre per altri perché l’oboe è lo strumento di più difficile intonazione. CONTINUA SU WIKIPEDIA.

l’immagine è stata tratta da Google
Note di Derekson: associati idealmente a questo strumento sono le seguenti voci (tutte appartenetenti agli strumenti aerofoni a doppia ancia): bombarda, Dulciana (che non è la Dolzaina), Mizmar, Oboe, Suona, Sopila, Zurna [torna al menu per indagare].

Esempi  di concerti per Oboe 
(collegamenti aggiunti da Derekson)

n. 1

n. 2

n. 1 = Si tratta  delle Opere n. 7 e 9 dei concerti per OBOE scritti da TOMMASO ALBINONI eseguiti dalla Stuttgart Chamber Orchestra diretta dal Maestro Nicol Matt. Solista Oboe: Stefan Schilli. I concerti sono contenuti in un Album della dutata di 2 ore e 45 minuti.  L’album  è proposto eda Brilliant Classics (https://brilliant-classics.lnk.to/AlbinoniOboeConcertos)  ed è contenuto nel suo canale Youtube. Alla Brilliant Classics e a Youtube  il nostro ringraziamento per la proposta e per la pubblicazione).
PER CONTINUARE L’ASCOLTO DELL’INTERO ALBUM PREMERE CONTINUA
n. 2 = Si tratta   dei concerti per OBOE scritti da JOHANN SEBASTIAN BACH eseguiti dalla St. Christopher Chamber Orchestra diretta dal Maestro Donatas Katkus. Solista Oboe: Andrius Puskunigis. I concerti sono contenuti in un Album della dutata di 1 ora e 05 minuti.  L’album  è proposto eda Brilliant Classics (https://brilliant-classics.lnk.to/BachOboeConcertos)  ed è contenuto nel suo canale Youtube. Alla Brilliant Classics e a Youtube  il nostro ringraziamento per la proposta e per la pubblicazione).
PER CONTINUARE L’ASCOLTO DELL’INTERO ALBUM PREMERE CONTINUA

 

P

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la PIVA

(vedi zampogna)

R

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la RIBECA

Ribeca (rebeca, rebecq, rebet, rebecum, rabel o rebequin)

NB Tutta la descrizione sotto illustrata relativa alla Ribeca, salvo diversamente specificato, è stata tratta pari pari dal sito kalosconcentus.org magistralmente  curato dal Prof. Sergio Lonoce e dai suoi collaboratori ai quali  vanno  i nostri ringraziamenti per la preziosa opera di ricerca. Cliccando sul nome esposto in rosso si accede direttamente al sito Kalosconcentus dentro al quale si può navigare e scoprire quanto lavoro di indagine è stato fatto riguardo agli antenati dei nostri strumenti musicali.
La ribeca deriva dallo strumento di origine araba “rebab”.
I musulmani avevano invaso la penisola iberica, spingendosi fin nella Francia sudoccidentale, ma furono fermati nella loro devastante conquista dell’Europa dalle truppe di Carlo Martello (battaglia di Poitiers, 732 d.C.). La sconfitta non fu sufficiente a frenare l’impeto arabo  e il 15 agosto 778, a Roncisvalle, la retroguardia di Carlo Magno – comandata dal paladino Orlando, prefetto della Marca di Bretagna, e dagli altri paladini di ritorno da una spedizione in Spagna – fu attaccata e distrutta dai saraceni. Il prode paladino rifiutò, pur nella consapevolezza della sconfitta, di suonare il suo corno (l’Olifante) che avrebbe chiamato in aiuto il grosso dell’esercito di Carlo Magno, perché non voleva che la Francia subisse onta per causa sua. Solo dopo che fu ferito a morte, Orlando suonerà l’Olifante: il suono del corno risuonerà tre volte sulle rocce di Roncisvalle. Orlando morirà coprendo e nascondendo con il proprio corpo la sua spada Durendala, perché al suo interno erano contenute le reliquie dei santi, ragione per cui non doveva cadere nelle mani dei pagani. Giunto Carlo, sbaraglierà gli avversari i quali inseguiti si daranno alla fuga annegando nel fiume Ebro. Poco dopo gli angeli discenderanno su Orlando per portarlo nel regno dei cieli.
Cosa centra la Chanson de Roland con la ribeca? Semplice, oltre a darsela di santa ragione, cristiani e musulmani si influenzarono vicendevolmente sotto i vari aspetti culturali. E fu così  che alcuni strumenti arabi, come l’oud (liuto) e la rebab (ribeca) fecero il loro ingresso nello strumentario musicale medievale.
Va subito precisato che, come per altri strumenti, non esistono copie originali delle epoche antiche, quindi i moderni liutai la costruiscono basandosi sulle immagini dei diversi dipinti, affreschi o miniature che presentano lo strumento. Qui sotto, per esempio, due illustrazioni che ornano le duecentesche Cantigas de Santa Maria di Re Alfonso X El Sabio, re di Castiglia e di Léon; quella inferiore la ritrae insieme a un oud.

Oppure nel dipinto in testa a questo articolo del 1509 di Gerard David.
Lo strumento, che insieme alla viella si può a ragione considerare antenato della moderna famiglia degli archi (violino, viola, violoncello e contrabbasso), scomparirà intorno al Cinquecento dalla musica colta, sostituito dalle più dolci e sonore viole da gamba, resistendo però nella cultura musicale popolare del centro Italia.
La sagoma della ribeca, con la sua caratteristica forma “a pera” è tratta da un unico blocco di legno, con una struttura tale per cui non è visibile una netta distinzione fra il corpo e la tastiera.

Come per molti altri strumenti, la ribeca si presenta in diverse taglie e con un numero diverso di corde, da tre a cinque, anche se quella a tre corde sembra essere la più popolare.
La ribeca soprano è la più piccola, e si suona appoggiata al fianco o alla spalla. Le ribeche di taglia maggiore, contralto o tenore, si suonano in verticale, appoggiate o rette dalle gambe del suonatore. Il suono è nasale, debole e un po’ grezzo; può essere usata sia per eseguire la melodia che per il bordone strumentale.
La ribeca suonata nel Kalòs è una ribeca tenore, ma Dom Luigi preferisce suonarla appoggiata alla spalla, come un violino.

articolo firmato da Nussbaum [kalosconcentus]

S

 

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il SALTERIO(collegamento a Wikipedia)

NB Tutta la descrizione sotto illustrata relativa al Salterio (scritta in corsivo italico), salvo diversamente specificato, è stata tratta pari pari dal sito kalosconcentus.org magistralmente  curato dal Prof. Sergio Lonoce e dai suoi collaboratori ai quali  vanno  i nostri ringraziamenti per la preziosa opera di ricerca. Cliccando sul nome esposto in rosso si accede direttamente al sito Kalosconcentus dentro al quale si può navigare per scoprire quanto lavoro di indagine sia stato fatto riguardo agli antenati dei nostri strumenti musicali. L’articolo è firmato Nussbaum.
Prima di tutto dobbiamo “disambiguare” il termine. Per salterio si intende normalmente il libro dei 150 salmi davidici, organizzati in modo che siano recitati secondo la liturgia delle Ore. Ma il salterio è anche uno strumento musicale a corde, antichissimo, e mi viene da pensare che il nome derivi proprio dal fatto che il re Davide, si sa, si accompagnasse nel canto dei salmi con una cetra, o salterio. Strumento a pizzico e a percussione, esiste anche una versione ad arco. È il nostro strumento.
Il salterio ad arco è uno strumento normalmente a forma triangolare con una serie di corde parallele. Si suona tenendolo con una mano e con l’altra si utilizza un arco, simile a quello del violino, che si sfrega sulle corde. A differenza degli altri archi, però, non ha una tastiera, e quindi lo strumentista salta da una corda all’altra per intonare le melodie. Il risultato è che la corda sfregata continua a vibrare e i suoni si sovrappongono l’uno all’altro, creando un’atmosfera tutta particolare.
Su un lato dello strumento sono tese le corde in scala diatonica (per intenderci, quella dei tasti bianchi di un pianoforte), sull’altro lato la sequenza è quella delle note alterate (tasti neri).
Sulla storia dello strumento, dobbiamo per ora rifarci a quanto scrive un mastro archettaio, strumentista e costruttore di arpe, Marco Pasquino che nel sito del gruppo Ebahgart afferma che il salterio ad arco è una variante relativamente recente del salterio a pizzico (più spesso di forma trapezoidale o con la caratteristica sagoma a “muso di porco”, quella – per intenderci – che il Re Davide imbraccia nella Home Page del nostro sito)[ndr Kalòsconcentus.ord], che venne ideato da un costruttore alsaziano agli inizi del Novecento. (Sullo strumento, Paola Brancato, che con Marco Pasquino suona, ha pubblicato un libro di cui è data un’anticipazione in PDF al seguente link, che spiega come avvicinarsi allo strumento. Ringraziamo Pasquino per la gentile segnalazione.)
In attesa di altre notizie, di conferme e/o smentite, noi continuiamo a suonarlo perché ha un suono davvero celestiale, penetrante e suggestivo.

Immagine da L’Ontano (firmato Nussbaum)

Esempi di esecuzioni fatte con vari tipi di Salterio (aggiunte da Derekson)

Nella playlist sono presenti :
n.  1Johann Sebastian Bach, Preludio Suite n. 1 in Sol Maggiore, BWV 1007 per violoncello eseguita da Luca Panetti al salterio cromatico, strumento con 54 corde metalliche ed estensione C1-F5. Per maggiori informazioni: www.lucapanetti.com (grazie a Luca Panetti e a Youtube per l’esecuzione e la pubblicazione);
n.  2 – Improvvisazione con il salterio a bordoni 12×3, semplice strumento a 12 bordoni (accordi privi della nota mediante) di tre corde e 25 note di melodia in scala cromatica, con il quale è possibile suonare in qualunque tonalità. Per maggiori informazioni: www.lucapanetti.com www.lucapanetti.com (grazie a Luca Panetti e a Youtube per l’esecuzione e la pubblicazione);
n.  3 – brano eseguito  da Etienne de Lavaulx (su Salterio a plettro). Si tratta di un arrangiamento del successo di Simon e Garfunkel  (The Sounds of Silence) suonato su una cerniera a 5 accordi realizzata nella Germania Est durante glia anni  ’60 / ’70. Ha corde di melodia singola. Sia gli strumenti a corda a melodia singola che doppia sono suonati esattamente allo stesso modo. Su una cetra con doppia melodia, entrambe le corde sono sintonizzate all’unisono (grazie a Etienne de Lavaulx e a Youtube per l’esecuzione e la pubblicazione);
n.  4 – presentazione del “Salterio ad arco” con dimostrazione eseguita da una  musicista del Museo degli Strumenti Musicali Popolari di Roncegno  Terme (TN). (grazie al Museo degli Strumenti Musicali Popolari di Roncegno e a Youtube per la “didattica” e la pubblicazione);
n.  5 – Fioretta (valzer popolare italiano) arrangiato da Gregg E. Schneeman per il Salterio ad Arco  (grazie a Gregg E. Scneeman e a Youtube per l’esecuzione e la pubblicazione);
n.  6Loch Lomond canzone interpretata da Terry Butler su Salterio ad Arco Tenore con una base in sottofondo di Heidi Haase (Smith), dal suo CD “Echoes from the Hills”. Heidi diede  il permesso di utilizzare questa registrazione a scopo didattico. La registrazione infatti vuole aiutare   agli amici del  salterio ad apprendere  il doppio movimento degli archi. (grazie al Museu Virtual de Instrumentos Musicais MVIM e a Youtube per la “didattica” e la pubblicazione);
n.  7 – Salterio a percussione, il video è stato pubblicato su Youtube a scopo didattico dal  Museu Virtual de Instrumentos Musicais MVIM. Il brano e l’autore non sono stati determinati  (grazie al Museu Virtual de Instrumentos Musicais MVIM e a Youtube per la “didattica” e la pubblicazione);
n. 8 – Salterio a percussione. Video pubblicato da Maria Piazza. Chideremo a Maria notizie di Ivan Levasseur. Al presente non ci sono note. Il video mostra l’incredibile armoniozsità e la singolare vicità dello strumento. (grazie a  Maria Piazza e a Youtube per la pubblicazione);
n. 9 – Salterio a percussione. Interpretazione ritmica di Loch Lomond (o almeno così sembra) eseguita da Jimmy Ayala. (grazie a Jimmy Ayala e a Youtube per la pubblicazione);
n.10 – Morir por tu amor (noto valzer di Belisario de Jesús García). Salterio con esecuzioni multiple e accompagnamento ritmico di chitarra. Il brano è interpretato da un gruppo messicano Quartetto di salmi dell’Ensemble Tipico Tonalli. (grazie a Salterio México e a Youtube per la pubblicazione);

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il SISTRO  (collegamento a Wikipedia)

È uno strumento in metallo, con una parte a forma di ferro di cavallo retta da un manico e attraversata attraverso dei fori da alcune asticelle più larghe alle estremità in modo che non escano dai fori.  Il suono viene prodotto scuotendo lo strumento. Il numero e lo spessore delle asticelle flottanti ne definisce e caratterizza l’altezza e l’intensità del suono, il quale resta comunque – come in molti altri analoghi strumenti a sonagli – indeterminato, e cioè senza una precisa connotazione tonale (vedi Wikipedia).

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la VIELLA

NB Tutta la descrizione sotto illustrata relativa alla Viella (scritta in corsivo italico), salvo diversamente specificato, è stata tratta pari pari dal sito kalosconcentus.org magistralmente  curato dal Prof. Sergio Lonoce e dai suoi collaboratori ai quali  vanno  i nostri ringraziamenti per la preziosa opera di ricerca. Cliccando sul nome esposto in rosso si accede direttamente al sito Kalosconcentus dentro al quale si può navigare per scoprire quanto lavoro di indagine sia stato fatto riguardo agli antenati dei nostri strumenti musicali. 
Progetto Viella da gamba diapason cm. 42
Hieronymus de Moravia domenicano, vissuto nel XIII secolo, diede una descrizione dettagliata della viella dei suoi tempi. La viella fu usata correntemente fino al XV secolo (epoca in sui è raffigurata in grande dettaglio, fra l’altro, in numerose tavole di Hans Memling e in un celebre polittico di Jan van Eyck).
Tale fu all’epoca la proliferazione e la diffusione delle vielle che oggi non siamo neppure in grado di classificarle o catalogarle. Con un termine generico vengono definite semplicemente ‘fidule medievali’.
Il metodo costruttivo per assemblaggio che soppiantò il metodo per scavo, ebbe inizio nei primi decenni del Trecento (di cui le vielle raffigurate nella Maestà di Ambrogio Lorenzetti sono uno dei primi esempi).
Negli anni ’80, Fabio Galgani liutaio di Massa Marittima ipotizzò e progettò per primo al mondo la ‘viella da gamba’ con diapason 47 che doveva essere in rapporto con quella da braccio di 36, già diffusa.
La viella da me realizzata è un modello intermedio di diapason 42, centrale per l’accordatura proposta (Re2-Sol2-La2-Re3-Sol3) il che permetterebbe anche di modificarla leggermente in più o in meno.

Il modello è a forma di ‘otto’ (non come le vielle del Lorenzetti, ma tipo Memling), ciò in quanto favorisce molto il passaggio dell’arco e l’ergonomia.
Lo strumento è stato costruito utilizzando acero fiammato per il fondo le fasce il manico e il ponte.

Abete rosso di risonanza per la tavola armonica.
Bosso per i piroli, la bordatura, le rosette, il capotasto, la cordiera e il gancio per la cordiera.
Il legno è stato trattato con un turapori meccanico così come storicamente documentato a base di polvere di pomice finissima e carbonato di calcio (Bianco di Spagna), rifinito a gommalacca disciolta in alcool e lucidato con cera d’api diluita con essenza di trementina.
Accordatura e diametri:

Corde Toro in budello nudo per la 1° 2° 3°e 4°corda
Corda Savarez rivestita in rame per la 5° corda
Legacci in budello. 0.85
1°corda sol3   392 Hz., 0.58mm.

2°corda re3     293,6 Hz., 0.76mm.
3°corda la2     220 Hz., 1mm.
4°corda sol2   196 Hz., 1.14mm
5°corda re2    146,8 Hz., BFC 240 (equivalente a 1,50 budello nudo)

Esempi  di esecuzione fatta con Viella (aggiunto da Derekson in formato trailer di 30″)

brano 1
Il brano è contenuto nel canale YouTube
Concerti Santa Maria di Castello, Biancade presente su YouTube dall’ottobre 2011. Ai creatori e ai gestori del canale va il nostro ringraziamento per la preziosa iniziativa.

brano 2
Il brano è contenuto nel canale YouTube Walter Cangialosi Liutaio presente su YouTube dal novembre 2011. Ai creatori e ai gestori del canale va il nostro ringraziamento per la preziosa iniziativa.

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la ZAMPOGNA (o PIVA)

 
Si tratta di uno strumento musicale a riserva d’aria quale “derivato” del medievale flauto di Pan. La zampogna è simile alla cornamusa ma da questa si differenzia per il fatto che tra le canne e la sacca è interposto il cosidetto “zuppone” consistente in un  condotto ligneo  che ha il compito di collegare  le varie canne alla sacca medesima. Nella cornamusa, invece,   le canne [la canna di immissione dell’aria, i bordoni (canne di emissione secondarie monotonali) nonché il chanter (canna di emissione principale dove è suonata la melodia)] sono inserite direttamente nella sacca
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